Project Description

FarnetiCare

2008, Mostra personale

Lo spirito espressionista negli autoritratti di Farneti

Testo critico a cura di Serena Simoni

Che l’autoritratto, l’indagine sul proprio volto, sia uno dei classici topoi da parte degli artisti non è una novità: senza disturbare Rembrandt o Van Gogh – che fecero delle loro sembianze una sorta di territorio di analisi ossessionata – basti dire che anche gli artisti contemporanei non hanno mai messo in soffitta questa esperienza: e anche chi artista non è sa che la propria faccia è un’imbarazzante sorpresa ogni mattina, sia per chi si trucchi o si faccia la barba. Imbarazzante perché è ciò che conoscono quasi meglio gli altri che noi stessi, perchè nel tentativo di osservarci già essa muta, mettendosi in sempre in una posa involontaria. Sorprendente, perché il volto diventa il nostro deposito del tempo e delle esperienze, una sorta di carta assorbente delle emozioni, temporanee o permanenti. Ciò giustifica quell’interesse continuo che molti artisti dedicano al proprio viso, facendo leva su quell’indomito Narciso che alberga necessariamente in tutti coloro facciano questa attività.

Non si sottrae a questa esperienza Filippo Farneti, che nello spazio periferico della ex Serigrafia di Ravenna, presenta un lavoro diviso fra immagini dipinte e in movimento, allestite suggestivamente e tutte concentrate sul tema del viso. Distorto in espressioni liminari, in evoluzioni ginniche del volto quasi a crollo della verosimiglianza, Farneti esplora la propria identità fisica rispondendo a una vera e propria domanda ossessiva. Su una parete sono una serie di piccole tele che ripetono la propria faccia tramite un segno sintetico, graffiante, al limite del caricaturale. La stessa modalità segnica sta alla base delle immagini registrate su video – uno still dietro all’altro che montati in sequenza danno un’immagine in un movimento a scatti, in alcuni casi velocizzato – che riprendono lo stesso soggetto e alternano le espressioni, oppure indagano l’azione della costruzione del disegno. In questo secondo video infatti, non è tanto il proprio volto a essere soggetto del lavoro ma la tecnica di costruzione per sovrapposizioni di colore: dal foglio compare una faccia, che tramite alcune modifiche di pennello e colore si trasforma in un’altra, e poi in un’altra ancora, finchè gli strati non rendono difficoltosa la lettura. Quindi tutto si azzera tramite una passata di mano, che compie una sorta di tabula rasa azzerando il compiuto, e permette di ripartire con la stessa intenzionalità sovrappositiva. L’allestimento merita due parole in aggiunta: i video infatti sono montati in modo da apparire racchiusi in bozzoli che pendono dal soffitto, emergono dal pavimento oppure coprono gli angoli della stanza, creando una strana associazione – rubo una definizione a un amico – con i nidi di ragno. Non si tratta di nulla di perturbante grazie probabilmente al bianco sfolgorante della stanza e al fatto che i bozzoli sono costruiti con migliaia di fogli di disegno, tutti riportanti ancora il viso dell’artista ma anche oggetti, animali, altri volti e piccoli dettagli, in una sorta di quello che potremmo immaginare una specie di diario lirico del lavoro quotidiano di un disegnatore assorto a registrare la propria vita. C’è dietro a tutto ciò lo spirito mai morto dell’espressionismo – e della transavanguardia se vogliamo rimanere più vicini a noi – che appare quasi più che un dato storico di riferimento, una costante necessaria fra le forme dell’espressione umana. è come se l’io dilatato e ossessivo avesse bisogno di un contenitore elastico, dai segni forti, graffianti, per poter essere espresso. E anche i bozzoli possono essere letti nella stessa direzione: un’azione di contenimento più lieve di quel sovraccarico imbarazzante del nostro viso e delle immagini che vorticosamente si impilano sulla tavola della vita.